Volantino Sagra delle radici
5 CARLO MAGNO Il saggio imperatore che non sapeva ne leggere ne scrivere ma che seppe riunire in un solo regno tutta l’Europa e che si preoccupava per ogni aspetto della vita dei suoi sudditi, ordinò che la salutare pianta della cicoria fosse coltivata in tutti gli orti dei suo vasto impero. Forse ne aveva apprezzato le proprietà depurative che gli garantivano una salute di ferro, robustezza, resistenza alle fatiche, grande vitalità ed imponente attività nonostante le sue solenni abbuffate della quali ci parlano gli storici dell’epoca. MEDIOEVO E RINASCIMENTO Molti medici cronisti del Medioevo (Hildegar von Bengen, Alberto Magno, Camerario, ecc.) tessono gli elogi della cicoria, apprezzata per la cura dei disturbi digestivi e delle malattie di fegato. Nel 1586 l’erudito D. Petri Andreae scrive che “la cicoria è un rimedio particolarmente attivo, utilizzato per calmare il fegato congestionato, perché lo rinfresca e lo conserva. Purifica inoltre le piccole vene occluse del fegato per mezzo dei suoi umori amari. Essa quindi fa bene al fegato sotto tutti i punti di vista”. Ed ecco che va introducendosi l’uso delle infusioni di radici essiccate di cicoria quale bevanda prima che giungesse dall’Arabia la nuova pianta esotica del caffè (coffea Arabica). La vecchia farmacopea usava largamente tutte le parti della pianta (radici, foglie, fiori, semi) per l’estrazione di infusioni, sciroppi semplici o composti e decotti. Nelle botteghe degli spezziali del tempo facevano bella mostra i contenitori di ceramica con iscrizioni latine che indicavano il contenuto ricavato dalla cicoria: “Aqua”, “Extractum”, “Syropus”, “Cichorii”. Anche nelle corti delle Signorie Italiane si faceva largo uso di preparati di cicoria. Una collezione del fondatore della Ditta che produce attualmente la “chicorèe” raccoglie esemplari di contenitori in ceramica dedicati agli infusi di cicoria che provengono da tutti i maggiori centri di produzione italiani dell’epoca rinascimentale come Faenza, Firenze, Monte Lupo, Deruta, Venezia, Milano, Palermo. Il vasellame prodotto fu esportato in tutta Europa e fece scuola per altre produzioni ceramiche successive della Francia e della Spagna.
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