Volantino Sagra delle radici
11 La discussione è già entrata nella storia perché ripresa nel volume “ Gli uomini, le opere, i giorni” del ricercatore prof. Ermete Rossi, sotto il titolo.. tra il serio e il faceto… Le cose andarono cosi. Carlo Grazioli, agente della famiglia dei Conti Galantino, cioè un uomo di fiducia e delegato all’organizzazione del lavoro e della produzione sui vari fondi, annualmente si recava a Genova a prelevare una discreta partita di bulbi di tulipani proveniente dall’ Olanda. A spedirli via mare era un facoltoso floricoltore e nel contempo accanito collezionista di cimeli vaticani che lo storico Francesco aveva incontrato ad Amsterdam durante il suo viaggio alla scoperta dei Paesi del nord. Di ritorno dalla Scandinavia, il conte aveva portato alla consorte alcuni bulbi. E da allora, ogni primavera, il giardinetto di via Borgo Sera fu un’esplosione meravigliosa di colori che ravvivavano il grigiore dell’alta muraglia. L’ autunno del 1906 il vecchio Carlo – ormai conte Francesco se n’ era andato da diciotto anni – pensò di portare con sé il figlio Francesco: a lui sarebbe presto passato il ruolo paterno. E si sa che i giovani sono curiosi e misteriosamente attratti da isole inesplorate del nostro mondo. Nel grande capannone nelle vicinanze del porto i due contadini s’ aggiravano alla ricerca del capo-guardia e gestore del deposito, quando gli occhi vispi del giovanotto caddero su una piramide di sacchi pesantemente imbrattati da una croce bianca: merce respinta al mittente. Rintracciato il segaligno gestore, i nostri amici ottennero e pagarono il sacchetto contente i bulbi olandesi. Mentre s’avviavano verso l’uscita, accompagnati dal genovese, il discorso cadde, scaltramente pilotato da Carlo, sulla strana piramide crociata. “Semente per Oslo – spiegò accigliato il gestore – che invece t’ arriva in magazzeno, nessuno che se ne preoccupa, rispedirla corri il rischio di pagare andata e ritorno. E nessuno ti rifonde: sono lontani i tempi dei galantuomini!” “Ma… semente di che?”, azzardò Francesco tormentando il cappello tra le mani. “ D’ una cicoria resistente al freddo di lassù”, tagliò corto infastidito dal pensiero della perdita subita, … il genovese. “ Potrei averne un po’… “ , chiese a questo punto Carlo, “ …sa, da noi l’inverno non scherza e.. una cicoria resistente.. Eh?”. Ed intanto la sua mente contadina aveva realizzato un colpo inebriante: la figlia Nene aveva un negozio di fruttarola, sotto i portici di san Giacomo e.. una cicoria così… Poi, provare costa nulla, o poco. Per quell’anno il sacchetto di juta se ne stette dimenticato in un angolo del solaio, ma l’estate 1907, cinque pertiche di terreno poste a mezzogiorno della cascina Ospitale, ad est dell’Annunziata, accolsero nel loro grembo il misterioso seme piccolo e clavato. Che, opportunamente irrigato e isolato con accorta monda fiorì con foglie dure e resistenti al freddo, ed amare al gusto. Però, bollite a lungo e ben acetate, costituivano una buona verdura per la tavola invernale. Ma l’interesse dei Grazioli si spostò ben presto dalla foglia al lungo fittone bianco: amarognolo si, ma d’ un amaro per così dire gradevole. Fu così che nella bottega di Nene Grazioli, una mattina di martedì, giorno di mercato, fecero la loro comparsa due piatti… pronti: l’uno con cicoria raccolta in tondi grumi, l’altro con piccoli e tozzi cilindri di fittone ben conditi con olio ed aceto.
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